Nell’età della Destra storica e fino alle riforme del 1888-1896, i sindaci, in applicazione della legge Rattazzi del 1859, sono di nomina governativa ed espressione di quelle «classi agiate» che due noti studiosi conservatori, Franchetti e Sonnino, nella “Inchiesta in Sicilia”, bollano come «corrotte».
Una sconosciuta suora, in una lettera del 3 settembre 1887 a padre Giacomo Cusmano, scrive che Canicattì è un centro in cui esistono «certi tuguri dove la miseria è straziante», in cui «le famiglie agiate danno [per i poveri] quattro soldi o due soldi alla settimana; spesso, peraltro, non si trovano in casa, e perciò non danno niente», e in cui «il Sindaco, purtroppo, crede che il Povero [...] dev’essere trattato né più e né meno come a casa propria: col solo pane e senza pulizia, senza rimedi e senza medici». È una plebe abbandonata al suo destino dalla classe agiata e dalla sua rappresentanza in Comune ed incapace di reagire a una condizione di estrema miseria.
Ma a fine secolo qualcosa inizia a cambiare: Canicattì - con la sua popolazione di 20.785 abitanti composta da una esigua nobiltà, da una stragrande maggioranza di contadini poveri e da una piccola e media borghesia in ascesa che gestisce diverse attività commerciali, due industrie e due banche, e da cui proviene un ceto intellettuale di rispettabile livello - comincia a trasformarsi in una cittadina dinamica e con una plebe tutt’altro che fatalista.
Il popolo di Canicattì non è più disposto ad aspettare un’elemosina che sovente non arriva. La rottura con questo passato di miseria, e con una cultura che li vuole “vinti” per sempre, arriva nel 1893, quando i contadini si uniscono nel Fascio dei lavoratori. Si organizzano perché non vogliono accettare i patti agrari angarici, né gli odiosi dazi comunali, di cui chiedono l'abolizione a un sindaco, il socialista Vincenzo Falcone, disponibile (stupefacente novità di fine secolo!) ad ascoltarli: alla fine dell'anno, infatti, egli ne delibera la riduzione.
E i cittadini di Canicattì non sono più disposti a vivere in un’esigua estensione territoriale che li penalizza pesantemente: «Quando il cittadino canicattinese – scrive “Il Risveglio” nel 1898 - si vede costretto a pagare pesanti balzelli ad amministrazioni da cui nulla riceve in cambio, quando le sue strade di campagna sono abbandonate, perché dovrebbero ripararle coloro cui non interessano, quando infine per mantenere una larva di autonomia deve pagare elevatissimi dazi che pur nondimeno non bastano alle esigenze dell’azienda comunale, oh allora il cittadino canicattinese non sa che farne della propria autonomia, non sa che farne della sovranità popolare». Matura di conseguenza – si legge sul n. 4 dello stesso giornale – l’iniziativa di «un’astensione completa del corpo elettorale dalla votazione per le elezioni generali amministrative, all’oggetto di richiamare l’attenzione del Governo sulla urgente necessità di provvedere all’allargamento del territorio di Canicattì».
Una cittadina la nostra che, nella nuova atmosfera liberale di inizio secolo, vanta personalità di grande spessore giuridico e culturale che incideranno notevolmente sulla vita politica, culturale e amministrativa: gli avvocati Gaetano Rao, Francesco Macaluso, Giovanni Guarino Amella, Domenico Cigna e Rosario Livatino, che si collocano tutti nell’area di sinistra. Una sinistra che se da un lato sviluppa i suoi strumenti organizzativi e di lotta, dall’altro mostra i primi segni di una divergenza che nel tempo si acuirà: i socialisti si scinderanno, infatti, in riformisti e massimalisti, i primi guidati da Rao, i secondi da Cigna. Guarino Amella, pur continuando a mantenere buoni rapporti con i socialriformisti dell’amico Rao, abbandona presto il socialismo per aderire alla sinistra radicale che avrà la sua voce ne “Il Moscone”. I socialisti si danno una più solida organizzazione aprendo il “Circolo Elettorale Socialista” e pubblicando uno strumento di informazione e di lotta, il giornale “La Folgore Socialista”, diretto da Cigna.
Nelle elezioni del 1906 per il rinnovo parziale del Consiglio provinciale, emergono con chiarezza gli antagonismi all'interno del socialismo locale. Rao si schiera con l'Unione Democratica Popolare, contro la destra liberal-conservatrice dell’on Cesare Gangitano. Con quest'ultimo Domenico Cigna dà invece vita a un'alleanza elettorale tattica per contrastare il "blocco popolare" di Rao, Guarino Amella e Ignazio Caramazza. Il "blocco popolare", sempre nel 1906, conquista il Comune di Canicattì, mettendo così fine all'amministrazione conservatrice di Diego Gangitano (1904-05) ed eleggendo sindaco Rao, che guiderà l’amministrazione fino al 1908.
Rao ritorna ad amministrare circa quattro anni dopo, quando alle elezioni del 1912 la sinistra che fa riferimento a Guarino Amella riconquista la maggioranza. È un appuntamento elettorale particolarmente effervescente: «Forse mai altre volte - scrive il giornale "Alla Vigilia", nel numero unico del 29 settembre - una lotta elettorale ha appassionato tanta cittadinanza intera: non c'è vecchio, donnicciuola o ragazzo che non partecipi alla generale agitazione, che non si occupi e preoccupi di questa battaglia campale che segnerà davvero una data storica nella vita pubblica di Canicattì». Nello scontro si contrappongono i due vecchi raggruppamenti: da una parte i «partiti popolari», cioè i radicali di Guarino Amella e del suo delfino Ignazio Caramazza e i socialriformisti di Rao, che dichiarano di presentarsi al giudizio degli elettori «nella convinzione di aver curato scrupolosamente gli interessi del paese iniziando un periodo di sano rinnovamento igienico, edilizio, morale», dall'altra i liberal-conservatori dell'on. Cesare Gangitano, appoggiati dai socialisti massimalisti di Cigna. I “partiti popolari” attaccano pesantemente il Gangitano denunciando il suo modo scorretto di conduzione della battaglia politica e perfino le sue collusioni con il commissario regio e la PS. Alle elezioni essi hanno una forte affermazione e, il 19 gennaio 1913, il “fatidico e popolare” Rao, così lo definisce Guarino Amella, ritorna a dirigere l'Amministrazione.
Alle successive amministrative del ‘14 riprende lo scontro fra i massimalisti dell'Unione Socialista Canicattinese e il “blocco popolare” di Guarino Amella. L'Unione apre la campagna elettorale pubblicando un manifesto sul giornale "A Lanterna" del 25 giugno 1914 in cui dichiara di avere «riunito in mirabile concordia i socialisti delle due tendenze» e «di scendere in lotta con candidati propri per la lista comunale e per quella provinciale».
Mentre infuria con toni esagitati la battaglia municipale, il mondo entra nella Grande guerra. Nel corso del conflitto, la città, della quale dal 14 agosto 1914 è pro-sindaco Guarino Amella, vive in uno stato di malessere sociale che sfocia in alcune manifestazioni contro il carovita e la guerra di cui sono protagoniste le donne. Sarà il giornale “La Zanzara” a ricordare polemicamente, nel ’19, le condizioni di estremo bisogno del popolo durante la guerra. In questi anni, pur con notevoli difficoltà finanziarie, l’Amministrazione Guarino Amella consegue alcuni obiettivi: il ripristino della luce elettrica, il rifornimento idrico, la repressione dei furti nelle campagne, l’assistenza medica, durante l’epidemia di scarlattina, per gli ammalati indigenti.
Il malessere sociale continua nel dopoguerra: «Volge un’ora grave! – scrive “Il dovere nuovo” di Francesco Macaluso – La guerra è finita di sorpresa e la pace si matura fra le sorprese. Le masse rumoreggiano per il disagio economico, politico e morale e gli espedienti per colmarle non riescono che ad aumentarne il brusio». È la verità: il disagio dà luogo, infatti, a una sequenza di battaglie sociali che vedono protagonisti i mugnai, i contadini e ancora le donne. Le lotte contadine, che raggiungono il momento culminante nell’occupazione delle terre di Grottarossa, suscitano dibattiti di alto livello, in Parlamento attraverso la voce di Guarino Amella e in manifestazioni a carattere regionale svolte proprio a Canicattì. Pure la stampa locale se ne interessa, basti pensare agli interventi di Macaluso su “Il dovere nuovo” in difesa dei «piccoli proprietari» e per la riforma agraria. Nel luglio 1919 il segretario della Camera del Lavoro Diego Cigna, fratello di Domenico, denuncia su “La Valanga”, giornale dei gruppi combattentistici, l’assenza dei generi alimentari di prima necessità.
Sulla scia di questo malessere sociale i socialisti canicattinesi conseguono, nel settembre del 1920, alle elezioni amministrative comunali e provinciali, importanti vittorie sul “blocco” conservatore, che ha il suo strumento d’informazione nel giornale “La Graccia”. Il giornale socialista “Falce e Martello”, diretto da Diego Cigna, accoglie il risultato elettorale con grande entusiasmo. La nuova maggioranza elegge sindaco l’avv. Livatino, che in Consiglio dichiara solennemente di voler amministrare con «il concorso e la cooperazione di tutti per il bene di Canicattì e per il benessere del proletariato contro la borghesia per il trionfo degli alti ideali del Socialismo». L’operato Del Sindaco e della sua giunta dà, anche in relazione al breve tempo trascorso dal loro insediamento, risultati positivi. Storica la caduta della cinta daziaria. L’eccezionale avvenimento è comunicato alla cittadinanza attraverso un manifesto, pubblicato su “Falce e Martello”. Non secondari sono gli altri risultati conseguiti: la fornitura della luce elettrica, l’apertura della scuola di Arti e Mestieri e la regolarizzazione degli atti amministrativi. Il notabilato locale considera queste conquiste “il pericolo rosso” che bisogna assolutamente fermare e pertanto si serve del compromesso capo della burocrazia comunale e degli amici della Giunta Provinciale Amministrativa, che cominciano un’opera subdola di ostruzionismo paralizzante nei confronti dell’amministrazione comunale. Alla fine gli avversari dell’amministrazione raggiungono il loro obiettivo: il 24 ottobre 1921, il Sindaco riceve dal Prefetto di Girgenti il decreto di sospensione dalla carica per non aver esposto la bandiera nazionale al Palazzo municipale «in occasione della festa del XX settembre» e «nella ricorrenza del 25° anniversario delle nozze dei Sovrani». L’Amministrazione viene sciolta alla fine del 1922. Cominciano a restringersi intanto gli spazi di libertà, cessa di colpo la straordinaria primavera dell’informazione iniziata con il risveglio sociale di fine Ottocento. Solo nella seconda metà del ’23 viene costituita dal fior fiore del latifondismo locale l’Associazione per la difesa dell’Agricoltura Siciliana, che pubblica il giornale “La Difesa Agraria”, e i cui associati, pur essendo stati in prima linea nella lotta contro l’amministrazione Livatino, dichiarano la loro estraneità alla politica: «La politica ci dividerebbe, mentre l’agricoltura ci unisce», scrivono sul loro giornale.
La lunga notte della dittatura mette fine ad ogni dialettica amministrativa fino a luglio del ’43, quando il 12 luglio le truppe americane entrano a Canicattì. I liberatori americani si insediano simbolicamente nella Casa del fascio dove, il 17 luglio, nominano sindaco, per i suoi meriti antifascisti, Giovanni Guarino Amella, e invitano l’ultimo podestà Angelo La Vecchia ad «allontanarsi» dalla città. Lasciati dagli americani, i locali dell'ex Casa del fascio vengono occupati dai partiti e dalle organizzazioni antifasciste. L'8 settembre del '44, Guarino Amella rinuncia alla carica di sindaco per dedicarsi alla storica battaglia per l'autonomia regionale. Gli succede il collega di partito Vincenzo Fazio Tirrozzo che, dimessosi nel '45, è sostituito dal socialista Pasquale Gazzara, costretto poco dopo a dimettersi perché – leggiamo ne “La Fiaccola" del 19 agosto – sfiduciato dai partiti liberale, d'Azione, democristiano e demolaburista.
Le prime elezioni amministrative si svolgono il 10 marzo, in un clima di violenza diffusa: la sezione socialista diviene oggetto di atti vandalici e le insegne della sezione comunista vengono date alle fiamme. Già per tre volte è stato intimidito a suon di fucilate il dirigente della Camera del Lavoro Antonio Mannarà. Nonostante questo clima di violenza, la sinistra vince le elezioni e dopo 24 anni ritorna al governo della Città. Il 12 aprile il farmacista Cigna viene eletto sindaco.
L'anno successivo, il 12 maggio, il consiglio comunale viene sciolto anticipatamente e si ritorna alle urne. I risultati confermano la precedente vittoria del Blocco del popolo e il 30 maggio il Consiglio elegge sindaco il comunista Francesco Cigna, che guiderà l’amministrazione in un clima di intimidazioni e di persecuzioni giudiziarie, fino al 1952. Questo il bilancio che un giovane giornalista canicattinese, Antonio Insalaco, fa su “Il Siciliano Nuovo”: «La città, con i suoi 32.490 abitanti, versava in uno stato di completo abbandono: con pazienza giunta e consiglio e con sforzi titanici, sono riusciti a migliorare nel complesso questo centro agricolo e commerciale. Tra le opere pubbliche di maggior rilievo annoveriamo la costruzione di un gabinetto pubblico; di una stazione autobus ed un locale per l’Ufficio Turistico “L’Ora”. Già sono stati ultimati i lavori per la costruzione dei Bagni Pubblici». In quest’arco di tempo, a Canicattì accadranno avvenimenti notevoli, come la strage del 21 dicembre ’47, l’epidemia tifoidea, la Riforma agraria del ‘50, ma esula dal nostro compito parlarne.
In questa circostanza è doveroso ricordare la morte di Guarino Amella, avvenuta a Palermo il 19 ottobre 1949. L’Amministrazione di sinistra proclama il lutto cittadino e paga le spese del funerale: è l’ultimo omaggio a un uomo che, al di là delle divergenze politiche, aveva iniziato il suo percorso politico nel movimento contadino di Canicattì, aveva lottato in Parlamento per la riforma agraria e, infine, era stato alleato del Blocco del Popolo in un momento storico cruciale: le elezioni politiche del 1948.
Nessun commento:
Posta un commento