20.11.09

DIEGO LODATO, Presentazione di "La repressione del brigantaggio a Canicattì e dintorni da Francesco Bonanno a Cesare Mori"


Quando il prof. Salvatore Vaiana mi rivolse l'invito a preparare una breve prefazione per il suo libro "La repressione del brigantaggio a Canicattì e dintorni da Francesco Bonanno a Cesare Mori", accettai con vero piacere, perché di lui, di cui conosco l'intenso impegno civile e culturale nel campo della storiografia, ho sincera stima. Egli è un canicattinese di adozione, il quale verso Canicattì e la sua storia nutre un interesse particolare.
Questo suo saggio sul brigantaggio ha un taglio di livello scientifico, per l'analisi scrupolosa delle fonti e dei documenti, ed evidenzia la passione dell'autore per la ricerca storica.
Canicattì, per quanto concerne il brigantaggio, è stata alla ribalta della cronaca in Sicilia in occasione della condanna a morte di sette componenti di una pericolosa banda, che aveva come capo l'ex chierico grottese Raimondo Sferrazza (o Sferlazza, come scrivono altri). C'è al riguardo un documento nell'archivio della confraternita di Maria SS. degli Agonizzanti (ora presso il collegio delle Orsoline), con l'intestazione "Ad futuram rei memoriam", in cui si trova la descrizione dettagliata dell'esecuzione, avvenuta in contrada Folche. Scrivono, tra l'altro, i confrati: "…fu data a noi la cura nel mentre che li detti miserandi condannati erano in cappella sotto la cura delli fratelli della Gratia o Bianchi di trattenerci per tutti li tre giorni a nostre spese il SS. esposto, con le prediche, e concorso di tutto il popolo". Raimondo Sferrazza di Grotte, Antonino Cacciatore di Girgenti e Sigismondo Loretta d'Aragona vennero impiccati il 5 maggio 1727, mentre l'agrigentino Francesco Borzellino e gli ennesi Michele Pirricone, Giuseppe Chiaramonte e Antonino Arrostuto furono afforcati il 17 successivo.
Il principe della Cattolica, Francesco Bonanno Del Bosco, che catturò i banditi, era il barone della terra di Canicattì e forse da essi era stato colpito direttamente negli enormi interessi feudali che aveva nell'agrigentino. Ciò spiega perché si assunse volentieri l'incarico con "l'alter ego", ricevuto da parte del viceré, "per l'estirpatione dei ladri – come si legge nel documento dei confrati - e piantò la gran Corte in questa sua sud.ta Terra, [e] fece che li detti ladri fossero stati sentenziati e condannati alla forca in questa".
Corretta è in proposito l'osservazione che Orazio Cancila fa a pagina 43 del suo Così andavano le cose nel secolo sedicesimo (Palermo, 1984): "Quando il banditismo toccava gli interessi dei feudatari, questi si mettevano alla testa delle forze di repressione e prima o poi finivano per avere la meglio. Non è certamente un caso che nel Cinquecento l'incarico di vicario contro i banditi sia stato assunto dal principe di Paternò, che era stato minacciato nei suoi stati da Giovanni Giorgio Lancia. Nel 1727 lo stesso incarico per muovere contro la banda del chierico Raimondo Sferlazza di Grotte, che con 30 compagni estorceva grosse somme ai facoltosi dell'agrigentino, fu assunto da Francesco Bonanno, principe della Cattolica, cioè dal feudatario di un centro rurale dell'agrigentino che probabilmente non era stato 'rispettato' dalla banda".
La vicenda della cattura e dell'esecuzione di tali banditi suscitò uno scalpore tale, che gli storici del tempo, come il marchese di Villabianca, Giovanni Evangelista Di Blasi, Antonino Mongitore, ne parlano tutti. E' al racconto del Villabianca che si rifà il prof. Vaiana, ed è una buona fonte, perché dovere di quanti si dedicano alla storiografia è quello di attingere, come diceva Pietro Giordani, alle fonti e non alle cisterne.
Un altro episodio di banditismo famoso che riguarda la storia di Canicattì è quello legato al celebre brigante Antonino Di Blasi, detto Testalonga, delle cui gesta si è impadronita la leggenda, come bene mette in risalto il prof. Vaiana. E leggendario è il tentativo di aggressione al chiostro delle suore benedettine della Badia, di cui così narra il Sacheli a pagina 6 delle sue Linee di folklore canicattinese (Acireale, 1914), a cui poi si rifà il Dizionario illustrato dei Comuni siciliani alla voce Canicattì: "Il bandito tentava di entrare nella chiesa per penetrare nell'attigua ricca badia delle monache benedettine. Atterrata una porta laterale, vide pararglisi innanzi un vecchio venerando dalla lunga barba bianca, il quale col pastorale gli vietava l'ingresso: era San Benedetto, e la badia fu salva".
Nel passato Canicattì ebbe fama di essere "terrible repaire des brigants", terribile covo di briganti, come si legge a pagina 156 e seguenti del Voyage en Sicile (Paris, 1848) di Fèlix Bourquelot. Così avevano detto al viaggiatore francese gli abitanti di Racalmuto, quando lui chiese loro informazioni, prima di inoltrarvisi, durante il suo giro della Sicilia nel 1848. Gli avevano addirittura parlato della "mauvaise habitude qu'ont les citoyens de Canicatti de rançonner et dévaliser les voyageurs" (la malvagia abitudine che hanno i cittadini di Canicattì di taglieggiare e spogliare i viaggiatori). Certo, era una diffamazione. Ma si sa che tra paesi vicini non corre in genere buon sangue, e la rivalità degenera spesso in maldicenza. Tuttavia, nonostante la paura che avevano tentato di incutergli, il Bourquelot si avventurò lo stesso ed entrò a Canicattì, senza subire danno alcuno né incontrare briganti. Non che non ve ne fossero, ma non erano poi tanti o tanto pericolosi, quanto la diceria dei centri limitrofi voleva far credere.
Figure di spicco a Canicattì, nell'ambito del banditismo siciliano, non ce ne furono, tranne, ma in tono minore rispetto ai Lancia, Sferrazza, Testalonga, Giuliano, quel Salvatore Agliata, detto Gallo, degli inizi del Novecento, che il prof. Vaiana definisce "primula rossa del brigantaggio canicattinese" e di cui scrive: "Gallo, conosciuto per le sue efferatezze, batteva la campagna da diversi anni praticando l'abigeato e l'estorsione, uccidendo e facendo scempio dei cadaveri, trescando con la mafia. A trentotto anni il temerario bandito terminava la sua carriera criminale con numerose condanne per iniziare la vita di ergastolano nelle dure carceri dell'Ucciardone di Palermo".
Questo saggio del prof. Vaiana riesce assai utile per la conoscenza del fenomeno del brigantaggio a Canicattì e nel territorio circostante, così come si è manifestato nell'arco di tempo di circa tre secoli. E' un dotto studio, sorretto da una ricca bibliografia e da una diligente ricostruzione delle condizioni sociali e ambientali del tempo in cui si svilupparono gli eventi. Anche la lettura riesce piacevole, per quella chiarezza di stile, che è il pregio di quanti scrivono per farsi capire, come è loro dovere, da tutti.
                              Diego Lodato
LINK:
https://archive.org/stream/SalvatoreVaianaLaRepressioneDelBrigantaggioACanicattEDintorniDaFrancescoBonannoACesareMori/Salvatore%20Vaiana%20-%20La%20repressione%20del%20brigantaggio%20a%20Canicatt%C3%AC%20e%20dintorni%20da%20Francesco%20Bonanno%20a%20Cesare%20Mori_djvu.txt 

1 commento:

  1. Vorrei chiederle conferma sull'età di Gallo nel 1916. E' ragionevolmente certo avesse 38 anni in tale epoca e non 47 circa, è esatto?

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