22.11.09

VINCENZO SENA, Strage del 21 dicembre 1947: “voglio intervenire anch’io"


Mio malgrado, devo intervenire anch’io sulla strage di Canicattì del 21 dicembre 1947. Mio malgrado, perché non ho mai accettato le provocazioni fasciste - questo mi sembra infatti, la “sparata” della “fiamma” locale, ripresa da quella nazionale, la quale attribuisce la colpa di quella tragedia ai cosiddetti “comunisti stalinisti” del tempo -; e perché mi sembra totalmente immotivata storicamente, priva di fondamenti “documentali” e solo, quindi, frutto di un giudizio politico squallido, come chi lo ha espresso, a vanvera, ma con cognizione di causa, per gettare discredito su bravi ed onesti lavoratori, il cui unico scopo allora era di avere un lavoro sicuro e adeguatamente retribuito.
 Adeguatamente, per modo di dire, perché, per quanto ricordi, i salari di allora erano di “fame”, molto saltuari, cioè, se il tempo era bello e permetteva di andare nei campi e totalmente in mano agli agrari, i padroni, che facevano il bello e il cattivo tempo, scegliendo spesso chi volevano e scartando i “pericolosi comunisti”, vale a dire i più sindacalizzati.

Essendo stato anch’io un “quasi” testimone oculare di quei fatti e del clima del tempo, credo di poter parlare, e liberamente e confutare, senza possibilità di smentita, quel giudizio sommario, “senza giudizio”.

Avevo undici anni (quasi dodici) e proprio quel giorno, avendo visto un film al cinema Sociale, solo una mezz’oretta prima, sono passato tra la folla che si assiepava come sempre in Corso Umberto e ricordo benissimo quanta povertà, miseria e fame c’era ancora tra la maggior parte della popolazione canicattinese, anche se erano passati 4 anni dalla fine della guerra fascista. E soprattutto, quanto precario fosse il lavoro delle campagne per i braccianti agricoli che quando non lavoravano non avevano una lira per mangiare. Altro che non potere arrivare alla terza decade, come succede ora per tanti miseri salari.

Inoltre, per quel giorno non ricordo che ci fosse un clima d’assedio della città, a causa dello sciopero, come si dice in quell’intervento – si circolava regolarmente e ricordo che si andava e veniva dalla campagna liberamente. E poi gli strascichi della guerra ancora non erano stati superati e lo stato di indigenza, di precarietà lavorativa, dalle nostre parti, durò fino a tutti gli anni sessanta, quando i flussi emigratori consentirono a migliaia e migliaia di compaesani di trovare un lavoro e migliori condizione di vita altrove, e con le rimesse iniziarono a impiantare vigneti, la cui risorsa trasformò queste zone da zone povere a zone “ricche”.

Falso, anche, che quei giorni furono giorni di sommossa politica volta a sovvertire il sistema per far venire “baffone” in Italia, come sostengono i fascisti, e falso che senza la volontà provocatrice dei “lavoratori canicattinesi” di volere spargere sangue per la “rivoluzione” (!!,) non sarebbe successa quella carneficina. Bisogna essere stati all’interno del sindacato o molto vicini ad esso per sapere quanto legalitaria sia sempre stata fin dall’inizio la sua azione “politica” e il suo metodo di lotta rivendicativa.

Una cosa che non mi convince, infine, in questa querelle sono le domande che si pone Diego Lodato nel suo intervento sulla strage, apparso sul sito “solfano”.

Storico, a mio giudizio, di “razza”, che ha scritto alcuni significativi e seri libri sulla storia di Canicattì, Diego Lodato, compagno mio di scuola alle medie – poi non ci siamo più visti, perché ha fatto i suoi studi in seminario e ci siamo reincontrati come “compagni” di passeggiate, prima, e colleghi di scuola, dopo, all’Istituto Tecnico – in questo intervento sembra scrivere per “commissione”, - incrinando così la sua vocazione di studioso “serio” e “scientificamente” attendibile –, questo quando si chiede, per esempio, «Come mai il sindaco comunista era assente "per impegni personali di lavoro", in quel giorno di sciopero generale? Non doveva essere lui il primo a dare l'esempio e scioperare? Come era uscito dalla città, se le vie d'accesso erano state bloccate? Come "avrebbe potuto evitare il peggio, per il suo forte carisma", se fossero stati altri a sparare?»

Io non sono uno “storico”, ma uno che di storia un po’ si intende e mi sembra che si tratta di domande banali le cui risposte, almeno le prime due, insinuano “malignità” un po’ deboli di significato, sia politico che storico: mi sembrano ininfluenti al fine di dimostrare la volontà premeditata di fare scoppiare la strage da parte dei “comunisti stalinisti”, perché ciò soprattutto è solo affermato e non dimostrato.

Io ricordo anche, se non mi sbaglio, questa volta, ma non dovrei sbagliarmi perché al cinema, da ragazzo, ci andavo solo una volta ogni domenica, e quindi era possibile che, proprio non pensando che potesse scoppiare una rivolta e perché sembrava che tutto potesse continuare come nei due giorni “pacifici” precedenti – lo sciopero fu proclamato per tre giorni e per i motivi dell’imponibile di lavoro, non perché, lo ribadisco, si rovesciasse il governo, per imporre “baffone” - il sindaco Cigna – che ricordo pure come persona rispettosa della legge e della democrazia – aveva deciso di recarsi a Gela “per impegni personali di lavoro”.

Per la domanda sulle vie d’accesso bloccate, come ho detto prima, se queste erano bloccate lo erano di mattina e nei giorni feriali, e non di domenica, che al lavoro, anche allora non ci andava nessuno, soprattutto tra i braccianti. E allora si facevano i “picchetti” per non far passare la gente che andava in campagna per lavoro o per “informarli” dei loro diritti).

Domande, quindi, “ideologiche”, non storicamente fondate. Strano per uno storico che ci sia cascato.

Domande “ideologiche” e infondate anche le successive, che tendono a gettare una luce sinistra e subdolamente “denigratoria” su quelle tragiche vicende di lotte sindacali, anche se finirono inaspettatamente coll’assumere un significato “politico”, soprattutto a causa delle mani misteriose e “oscure” che hanno iniziato la sparatoria da dietro le persiane. Che vuol dire «La sua arringa - di Lelio Basso, difensore degli accusati - impostata sulla "fame" si rivelò assai debole. Se la fame era tale e tanta, come mai a Delia, Serradifalco, Castrofilippo, Racalmuto, etc. se ne stettero tutti tranquilli?»

A me sembra ovvio. Per una serie di motivi. Perché, primo, i livelli di sindacalizzazione, allora come oggi, non erano uguali in tutti i paesi, anche limitrofi e vicinissimi. Secondo, quello che a Canicattì fece scoppiare la tragedia, in quei paesi non c’è stato; Canicattì era una piazza, anche allora, molto importante per i cosiddetti “datori di lavoro” di quel tempo, abituati durante i fascismo a fare i prepotenti, per accettare l’imponibile lavorativo in un grosso centro come il nostro. Terzo, infine, il fatto che i “moti” ci furono solo in alcuni centri e non in altri, sta a dimostrare, contro l’ideologia che c’è dietro queste insinuazioni, che non ci fu volontà sovversiva e politica, ma si trattò solo di dimostrazioni rivendicative di tipo sindacale, finite male, tragicamente, ma per mano altrui.

Vincenzo Sena

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