22.11.09

SALVATORE VAIANA, Lotte contadine e crisi agraria nella Canicattì del primo dopoguerra

Pubblicato su "Nonsoloagricoltura" n. 3, 2004












1. Nel primo dopoguerra, Canicattì, per la presenza di un valido gruppo di politici, parlamentari e intellettuali, di un numero di testate giornalistiche alto per un centro relativamente piccolo e per la sua posizione geografica, fu sede di dibattito politico e sindacale di livello regionale. L'8 giugno 1919, fu sede di un’importante assemblea della Federazione Agricola Siciliana, durante la quale venne deliberata l'adesione della Federazione alla Confederazione Generale del Lavoro e la partecipazione al Congresso nazionale di Bologna dei lavoratori della terra. Il 21 e 22 febbraio 1920, vi si svolse il terzo Congresso regionale giovanile socialista.
La città fu anche attraversata da forti tensioni sociali, dalle lotte contro il caro viveri alle lotte per la terra.
Fu infine centro di intenso dibattito e di proposta di alto profilo sulla questione del deleterio permanere del latifondo.

2. Che già nel 1919 l'espropriazione e la divisione del latifondo fosse ormai matura e una necessità improcrastinabile era nella coscienza di gran parte della sinistra canicattinese, dai socialriformisti di Francesco Macaluso ai socialisti dell’On. Domenico Cigna, ai radicali dell’On. Giovanni Guarino Amella.
«L'espropriazione è nella coscienza universale» scrisse "il Dovere Nuovo" di Macaluso: «La questione del latifondo, che è ormai una pera matura, sarà risolta fra breve. La gran massa dei contadini vuole gettarsi al lavoro nella stessa sua patria ed impone l'espropriazione».
Nonostante queste posizioni eversive del latifondo, Macaluso restava pur sempre un moderato, tanto che fu fra i promotori, assieme ai Gangitano (espressione locale del partito liberale) e ad altri, di un "Consorzio Agricoltori di Canicattì" che incitava al «risveglio dei piccoli proprietari». La prima riunione del Consorzio ebbe luogo nei locali del Municipio, la cui sala «era affollata di piccoli proprietari, burgiseddi, piccoli gabelloti e terragieri.
«L'avv. Macaluso – si legge ancora su "Il dovere nuovo" - iniziò la sua conferenza, che è dedicata ai piccoli proprietari ai quali fa subito risalire il merito della vera ricchezza agricola. […] Parlando del progresso evolutivo agricolo si scaglia contro quanti accusano l'agricoltore siciliano di pigrizia, mentre la lenta evoluzione è dovuta al sistema di cultura, alla deficienza di credito agrario, alla mancanza di scuole agrarie, di pubblica sicurezza, di viabilità, di opere pubbliche rurali, di caseggiati etc.».
Nella stessa riunione l'avv. Diego Gangitano pur riconoscendo la giustezza di qualche rivendicazione dei braccianti agricoli (ma non certo la divisione del latifondo) subordinò lo sviluppo alle esigenze dei piccoli proprietari strozzati dalla mediazione parassitaria dei gabelloti. Il Gangitano «si dice convinto della necessità della organizzazione perché, se è giusto che i contadini braccianti chiedono dei miglioramenti in rapporto al maggior costo della vita, è doveroso che i piccoli proprietari trovino i mezzi onde accontentarli facendo in modo che la produzione agricola sia resa libera da ogni inframmettenza di speculatori».
Non aveva assolutamente torto comunque Macaluso sulla maturità dei tempi per una legge di riforma agraria che abolisse il latifondo. Per l'abolizione era anche, come vedremo, Guarino Amella.
Nel contempo si sviluppava un forte movimento contadino di orientamento socialista che si diede delle solide strutture organizzative e degli organi di stampa, e che fu determinante nella vittoria elettorale che porto per un biennio i socialisti alla guida del Comune.

3. Immediatamente dopo la fine della guerra, fu costituita la “Lega proletaria”, aderente all’Associazione Nazionale Proletaria dei Combattenti. Essa ebbe il suo organo di stampa nel bollettino quindicinale “Il Combattente”, diretto da Vincenzo Guadagnino, cui successe “La Valanga”, che aveva come responsabile l’avv. Diego Racalbuto. Fu “Il Combattente” a dare lo storico annuncio della Costituzione della Camera del Lavoro di Canicattì, inaugurata ai primi di aprile.
Nel corso del biennio 1919-'20, si sviluppò un forte movimento per l’applicazione dei decreti Visocchi e Falcioni sull’assegnazione ai contadini delle terre incolte o mal coltivate. Per l’applicazione di questi decreti, impedita dal blocco agrario-mafioso, in tante parti della Sicilia caddero Alfonso Canzio a Barrafranca, Giuseppe Rumore e Nicola Alongi a Prizzi e numerosi altri capilega. In occasione della commemorazione in Parlamento di Nicola Alongi, Guarino Amella, da una prospettiva di progressismo democratico-borghese, denunciò il latifondismo e i latifondisti assenteisti che armavano la mano dei gabelloti e dei campieri per impedire con la violenza lo sviluppo della Sicilia e individuò nella divisione del latifondo e nello sviluppo delle attività produttive la soluzione ai problemi dell'isola.
Nonostante il diffuso clima di paura, nel novembre del '21 i contadini canicattinesi, organizzati dalla Camera del Lavoro, diretta da Diego Cigna, occuparono il latifondo di Grottarossa di proprietà della famiglia Cucurullo. E mentre centinaia di contadini con i loro aratri iniziavano a coltivare quei «terreni interrozziti» e «steppe desolate», i socialisti attraverso il loro giornale "Falce e Martello", diretto dal Cigna, incoraggiavano e sostenevano le occupazioni; ma l'intervento delle forze dell'ordine, voluto dai proprietari, mortificò le aspirazione dei contadini. A difesa dei loro latifondi i Cucurullo chiesero l'intervento dei fascisti locali, ma senza alcun esito positivo. Chi invece, animato dalle idee della Democrazia sociale - un minuscolo nuovo partito che appoggiava il governo Mussolini - criticò l'occupazione, parlando addirittura di «disastro di Grottarossa», fu Guarino Amella in un articolo pubblicato sul giornale "Il Fuoco" del 15 febbraio 1922.

4. Guarino Amella, eletto per la seconda volta deputato, pronunciò alla Camera, nella seconda tornata del 6 maggio 1922, un discorso sulla trasformazione del latifondo e la colonizzazione interna in cui individuava nella «irregolare distribuzione della popolazione rurale» la causa prima del permanere del latifondismo; bisognava quindi «discentrare» la popolazione rurale creando «centri di abitazione nei latifondi che si vogliono colonizzare», e preoccuparsi maggiormente dei latifondi lontani, che rappresentano «il problema assillante della nostra economia agraria, la piaga sociale che bisogna curare». Da questa prospettiva egli criticò le posizioni del socialista Cammareri Scurti, che sosteneva «la necessità di non procedere al frazionamento del latifondo, ma di mantenerlo nella sua unità operandone solo il passaggio di proprietà dal latifondista alla collettività». Quest'ipotesi - disse Guarino Amella - «sarebbe come un esperimento, un'attuazione della socializzazione dei mezzi di produzione». Bisognava piuttosto puntare, aggiunse, sulla «unità di direzione tecnica affidata al Consiglio d’amministrazione dell'associazione dei varii piccoli proprietari del colonizzato latifondo».

5. Dopo la sconfitta del movimento contadino e la proposta parlamentare di Guarino Amella, partì da Canicattì un'originale iniziativa dei proprietari terrieri, l'unica ormai possibile nel nuovo clima reazionario: la costituzione dell'Associazione per la difesa dell'Agricoltura Siciliana, «promossa da alcuni volenterosi» canicattinesi nella seconda metà del '23.
Gli associati, pur essendo stati in prima linea nella lotta contro l’amministrazione socialista di Canicattì, guidata dall’avv. Rosario Livatino, dichiaravano di non essere un partito politico («la politica - così scrissero sul loro giornale - ci dividerebbe, mentre l'agricoltura ci unisce») e di desiderare solo lo sviluppo agricolo: «Noi vogliamo sollevare le sorti della Sicilia, vogliamo che questa nostra terra diventi fra le più produttive regioni d'Italia, ma vogliamo principalmente respirare».
L'associazione si proponeva di espandersi oltre i confini municipali e pertanto si diede subito una adeguata struttura organizzativa aprendo un ufficio, eleggendo un "Comitato provvisorio" e pubblicando il bollettino "La Difesa Agraria".
L’anno seguente, «la candidatura fascista del generale Luigi Gangitano» alle elezioni politiche chiariva inequivocabilmente lo “spirito liberale” della famiglia Gangitano e dell’agraria canicattinese coagulatasi nella presunta neutrale «Associazione per la difesa dell’Agricoltura Siciliana», della quale ora si chiariva il suo «pregiudizio di politica e di classe».
Un anno ancora e le leggi “fascistissime” del regime avrebbero messo fine ad ogni tipo di lotta e dibattito.


DOCUMENTO

Il 20 novembre 1923, il Comitato Provvisorio dell'Associazione per la difesa dell'Agricoltura Siciliana rese noto un documento in cui chiariva la posizione dell'Associazione sulla crisi agraria di quegli anni:
«La crisi agraria che avanza rapidamente minacciando di sconvolgere l'economia siciliana deve seriamente preoccupare tutti gli agricoltori che vivono colla terra e per la terra e deve stringerli insieme in un fascio forte e deciso allo scopo di difendere energicamente gli interessi agrari.
Il basso prezzo del nostro grano abbandonato senza ombra di difesa nella pericolosa concorrenza coi grani americani; l'imposta sul vino che grava eccessivamente su una cultura che minaccia di non essere più redditizio per l'avvenire; l'assoluta inattività del mercato del mandorlo; la ormai prossima applicazione delle nuove tariffe catastali, ed infine la gravissima inconsulta imposta di R.M. sui redditi agrari applicata senza neppur lasciare al contribuente il legittimo diritto della difesa, hanno persuaso gli agricoltori che ormai è giunta l'ora in cui è necessario che il governo si decida a curare gli interessi agricoli facendo completa astrazione da ogni opportunità di indole politica.
È pertanto nostro intendimento agire subito in questo senso sul governo sia a mezzo dei deputati siciliani sia invitando a Roma una rappresentanza di agricoltori dei vari paesi dell'isola perché illustrino a viva voce al Ministro competente le pericolose condizioni sulle quali versa la nostra agricoltura e sollecitino nel contempo i provvedimenti del caso.
La nostra Associazione vuole, come si vede, raggiungere uno scopo puramente economico e cerca il maggior numero di adesioni senza riflettere alcun pregiudizio di politica e di classe.
È necessario intanto agire d'urgenza e in ogni centro agricolo formare una sezione della nostra Associazione che raccolga il maggior numero di adesioni possibili: da questo numero trarremo le forze e la speranza del nostro successo».


SALVATORE VAIANA

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